Il rischio è che l’Italia, da qui ai prossimi 40 anni, possa diventare un grande “ospizio disorganizzato“. Secondo le previsioni degli esperti demografici, nel 2050 almeno 20 milioni di italiani potrebbe avere più di 65 anni di età. Se oggi gli anziani sono un quarto della popolazione totale, entro il 2050 saranno più di un terzo. Ne abbiamo parlato con la dottoressa ElenaMaria Abati, geriatra e fisiatra dell’Unità Operativa di Riabilitazione e responsabile dell’Ambulatorio Onde d’urto di Humanitas Gavazzeni Bergamo.
Le proiezioni dell’Istat
Nel 2050, difatti, vi saranno due milioni e mezzo di italiani in meno e gli over 65, che oggi sono un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo: 20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni saranno ultra 85enni. Sono alcuni dei dati emersi dalle proiezioni sociodemografiche e sanitario-assistenziali al 2030 e al 2050 elaborate dall’Istat per Italia Longeva, la Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva, e presentate al Ministero della Salute .
Il problema delle patologie croniche
Nei prossimi anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave (come ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie).
Le stime Istat per Italia Longeva dicono inoltre che nel 2030 potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno da soli e di questi 1 milione e 200mila avrà più di 85 anni. Sempre secondo la ricerca, al nord un over 65 ha il triplo delle possibilità in più di essere ospitato in una residenza sanitaria assistenziale rispetto a un cittadino del meridione, e ha a disposizione circa il quintuplo di assistenza domiciliare, in termini di servizi e ore.
Anche le persone con disabilità saranno in aumento
C’è poi la disabilità che nel 2030 interesserà 5 milioni di anziani, e diventerà la vera emergenza e il principale problema di sostenibilità economica per l’Italia. Essere disabile vuol dire avere bisogno di cure a lungo termine che nel solo anno 2016, per fare un esempio, hanno assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben tre miliardi e mezzo pagati di tasca propria dalle famiglie.
«A chi si occupa di clinica geriatrica e di gerontologia, – sottolinea la dottoressa Abati – questi numeri non sono per niente nuovi, bensì sono una conferma di prospettive future che già erano note negli anni Novanta».
In un articolo-denucia pubblicato nel 1990 su un numero di Archives of Internal Medicine già si scriveva: «Le sfide che la crescita esponenziale della popolazione anziana pone negli anni a venire alla classe medica, ai ricercatori e all’intero sistema socio-sanitario è davvero enorme. È necessario prepararsi a gestire una nuova categoria di malati, che è quella degli anziani caratterizzati da una particolare vulnerabilità per la contestuale presenza di più malattie croniche, di fragilità e di disabilità tali da richiedere elevate e specifiche competenze professionali e una specifica e diversa organizzazione assistenziale».
Le conseguenze di un approccio scorretto a questi soggetti, ammonivano già quasi 30 anni fa gli autori dell’articolo, sono diagnosi incomplete ed errate, un’eccessiva prescrizione farmacologica, istituzionalizzazioni inappropriate, un inadeguato utilizzo dei servizi territoriali e un mancato ricorso alle strategie riabilitative. Già in quegli anni si ipotizzava l’inadeguatezza, in ambito geriatrico, di un modello ospedalo-centrico, che può risultare appropriato per un malato acuto giovane-adulto, ma è inadeguato per un soggetto ottantenne, con alta comorbidità e a rischio di non-autosufficienza.
L’urgenza: dare più spazio alle cronicità
«Da allora poco è cambiato – sottolinea la specialista di Humanitas Gavazzeni–: le stesse scuole di formazione medica e infermieristica non dedicano che una parte ridotta del percorso formativo alla preparazione geriatrico-gerontologica, prediligendo invece la formazione nell’ambito dell’acuzie che in quello della cronicità, sebbene, come abbiamo visto, la tendenza demografica indichi esattamente l’opposto. In Regione Lombardia un tentativo di “aprire il coperchio” del problema invecchiamento della nostra popolazione è rappresentato dal Progetto Cronici. Questo progetto si basa sulla presa in carico di pazienti portatori di malattie croniche. Il percorso vede coinvolte realtà ospedaliere, socio-assistenziali e anche territoriali. Il primo obiettivo è quello di creare un supporto e una coordinazione all’assistenza sanitaria specialistica con la costruzione di percorsi diagnostico-terapeutici soggettivizzati, per facilitarne ma anche regolamentarne l’accesso».
L’elemento chiave è il clinical manager, che – sulla base di quanto previsto dal progetto – ben ricalca la figura del medico competente in ambito geriatrico. Egli, avvalendosi di altre figure di supporto, per lo più di tipo infermieristico, “cura” pazienti spesso complessi per l’alta comorbidità, la polifarmacoterapia, l’alto rischio di disabilità e di istituzionalizzazione.
«Il Progetto Cronici Lombardo – conclude la dottoressa Abati -, con tutti i limiti che lo caratterizzano al momento e le incomprensioni che ha purtroppo generato, rappresenta l’occasione per posizionare al centro di un sistema sanitario avanzato ma centrato sull’acuto, il problema della presa in carico del malato anziano fragile, polipatologico e politrattato, come già evidenziato da noi geriatri sin dai lontani anni Novanta».
fonte: https://www.gavazzeni.it/news/entro-il-2050-in-italia-20-milioni-di-anziani/